I Romani visti da un Romano (sto .azz.ggiando in rete e trovo 'ste chicche)

NOI ROMANI
di Enrico Vanzina

Mi piace molto osservare i romani. Perché siamo dei cittadini complessi, sconcertanti, simpatici, desolanti, superficiali ma talvolta anche formidabili. Siamo tanti e molto diversi tra di noi. Da Tor Bella Monaca ai Parioli, la visione del mondo dei romani è variegata, colorata da lessici diversi, da gusti talvolta opposti e da livelli di vita ben poco omologhi. Eppure, malgrado queste enormi differenze, esiste un prototipo di romanità che ci rende unici all’interno del nostro piccolo stivale nazionale.
Ma cosa significa essere romani? Significa per esempio non essere milanesi, né genovesi, né fiorentini, né torinesi. Non siamo milanesi, né genovesi, né fiorentini, né torinesi. Non siamo milanesi, perché, beati noi, siamo indolenti e soprattutto non ci prendiamo quasi mai sul serio. Non siamo genovesi perché, Se Dio vuole, spendiamo quasi sempre di più di quello che abbiamo in tasca. Non siamo fiorentini perché, per fortuna, siamo bonaccioni e non abbastanza irascibili. E non siamo torinesi perché siamo, ahimé, troppo spiritosi. Che è l’unica nostra vera fregatura. Perché sapendoci spiritosi siamo andati avanti così, spiritosi nei secoli, facendo battute e non costruendo i parcheggi.
Qui non esiste una vera borghesia. Esistono molti arricchiti che invece di mandare i figli ad Oxford li iscrivono al Circolo Canottieri. Perché qui conta più una laurea in calcetto che quella in business administration. La piccola borghesia, invece, ha deciso di vivere e di morire impiegata nei ministeri, usando i telefoni di Stato per chiamare casa: “So io, che fanno i pupi?…”.
Siamo una città che vive di contraddizioni. Roma è la città di Moravia ma anche di Bombolo. Qui è nato Roberto Rossellini, ma anche il “Canaro”. Siamo soggetti, in regime di assoluta par condicio, al Giubileo ed alla Pennichella.
Anche dal punto di vista politico siamo unici. Insomma, romani. Per circa cinquant’anni molti dei cristiani al potere hanno rubato il pane ai poveri. Qui i comunisti radical chic si definiscono kennediani. E gli ex fascisti squadristi si sentono gollisti. Ma tutto sommato, in maniera totalmente trasversale, dagli industriali agli idraulici, a Roma esiste un formidabile partito della pagnotta.
Ci piacciono le donne. Ma di casa. E ancora più spesso ci piacciono le donne degli altri. Roma pullula, in egual misura, di nobili e di parvenu decaduti. Di seconde case e di cambiali. Di strozzini. Siamo la Capitale d’Italia, ma con i tram in ritardo. Nasciamo quasi tutti furbi. Ma becchiamo un sacco di fregature perché viviamo insieme ad altri romani che sono più furbi di noi. Siamo pettegoli, bugiardi e un po’ vigliacchi. Tremiamo di fronte ai potenti. Ma ci rifacciamo durante le riunioni di condominio.
Insomma, il romano è pieno di difetti. Tuttavia, avendo viaggiato in quasi tutto il mondo, tra gente più ordinata e civile, ma certamente meno allegra e solare, i difetti del romano cominciano a piacermi. Mi piace che sia pigro, abrasone, caciarone, un po’ cinico, frivolo e con un perdonabile senso di superiorità. Perché in fondo, diciamolo, il resto dell’Italia e del mondo sono un po’ meno di Roma. Se non altro da un punto di vista artistico e storico.
E poi il vero romano è romanista. E quindi è magico per antonomasia. Anche quando perde il derby con la Lazio.